mercoledì 10 giugno 2009

Eco-profughi

Sei milioni di persone ogni anno sono costrette ad abbandonare le loro case a causa degli effetti del surriscaldamento del pianeta cambiamenti climatici. Un numero che per il 2050, secondo le stime dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhcr), potrebbe riguardare 200-250 milioni di persone. È questo il profilo dell’emergenza umanitaria degli eco-profughi, i nuovi migranti in fuga da desertificazione, inondazioni e effetti del riscaldamento globale, illustrata oggi a ‘Terra Futurà da Legambiente attraverso il dossier ‘Profughi ambientalì. A discuterne Maurizio Gubbiotti, coordinatore della segreteria nazionale di Legambiente, e Sergio Marelli, direttore generale di Volontari nel mondo Focsiv. Il lavoro dell’associazione ambientalista mette insieme dati e studi effettuati da varie agenzie delle Nazioni Unite -Ipcc, Undp, Unhcr, Unicef- per dare un quadro complessivo del fenomeno migratorio innescato dal cosiddetto ‘global warming’. Dei 6 milioni di profughi ambientali previsti dall’Unhcr, la metà sarà causata da catastrofi naturali, inondazioni e tempeste, mentre gli altri 3 milioni di sfollati si sposteranno in seguito ai progressivi cambiamenti ambientali come l’innalzamento del livello del mare e la desertificazione. Fino a ora le guerre erano la principale causa delle emigrazioni di massa oggi invece, ha spiegato Gubbiotti, «il numero dei profughi ambientali ha superato quello dei profughi di guerra da circa due anni». Eppure, ha sottolineato, «non si riesce a dare loro assistenza in modo adeguato, perchè giuridicamente non esistono, non sono riconosciuti come rifugiati dalla Convenzione di Ginevra del 1951, nè dal suo Protocollo supplementare del 1967». Ora, ha continuato Gubbiotti, «dobbiamo far capire che le molte questioni legate all’ospitalità e all’accoglienza nei nostri Paesi devono in primo luogo essere affrontate attraverso un serio impegno collettivo nella lotta contro gli effetti dei cambiamenti climatici». Le tragiche conseguenze del surriscaldamento del pianeta sono già una drammatica realtà in molti Paesi. È il caso della Namibia, dove 350mila civili sono stati colpiti dalla recente inondazione dovuta alle piogge torrenziali iniziate a gennaio. Il 50% delle strade e il 63% dei raccolti è a rischio, con gravi danni per l’economia e per la sussistenza: secondo l’Onu 544mila persone potrebbero confrontarsi con un’insufficienza di cibo tra il 2009 e il 2010. Dati poco confortanti anche in Angola, dove 160mila persone hanno subito inondazioni, ma è un numero destinato a crescere. E ancora, in Birmania, il ciclone Nargis nel maggio 2008 ha fatto 140mila vittime, colpendo anche altri 2-3 milioni di persone e costringendo 800mila persone a sfollare. Anche l’Italia ha già iniziato a scontare gli effetti del riscaldamento globale in quanto area mondiale «a più alta vulnerabilità in termini di perdita di zone umide e in particolare degli ecosistemi e della biodiveristà marino-costiera», hanno riferito da Legambiente. Lo studio dell’organizzazione prevede che saranno sommersi circa 4.500 chilometri quadrati del territorio nazionale, distribuiti in prevalenza al sud, in cui si concentreranno la maggior parte delle aree che andranno incontro a una progressiva desertificazione. Per le agenzie umanitarie si prospetta l’adozione di provvedimenti senza precedenti: secondo le ultime previsioni, dovranno moltiplicare per 10 o per 20 le loro riserve d’emergenza.
grazie a Max

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