martedì 21 settembre 2010

Jan Garbarek & Hilliard Ensemble a Bergamo


Nella Basilica di Santa Maria Maggiore di Bergamo nell'ambito della rassegna Contaminazioni Contemporanee concerto del grande sassofonista Jan Garbarek insieme a The Hilliard Ensemble, prima nazionale assoluta del loro nuovo album "Officium Novum". Bergamo 21 settembre ore 21.00

È stata la mente vulcanica di Manfred Eicher, cuore e cervello della casa discografica tedesca ECM, a intuire le straordinarie potenzialità nascoste dietro l’incontro tra le liriche improvvisazioni dei limpidi sassofoni di Jan Garbarek e le splendide voci dell’Hilliard Ensemble.

Un autentico miracolo musicale, si potrebbe definire senza timore di smentita Officium, l’album inciso nel settembre del 1993 nella quiete del monastero austriaco di St. Gerold. Ma Officium (al quale è seguito nel 1999 l’altrettanto riuscito Mnemosyne) non è solamente il titolo di un disco: si può infatti legittimamente considerare un’idea forte di fare musica, all’interno della quale ogni barriera stilistica e temporale viene abbattuta, nel segno di una perfetta sintesi tra linguaggi diversi. L’Hilliard, il più apprezzato gruppo vocale al mondo di musica antica, ma che più volte ha dimostrato anche dimestichezza con il repertorio contemporaneo (ad iniziare dall’opera dell’estone Arvo Pärt), si muove con rara versatilità tra canti liturgici, polifonie millenarie e mottetti rinascimentali.

Da parte sua, il musicista norvegese, tra i più originali jazzisti a cui il Vecchio Continente ha dato i natali, fa letteralmente cantare i suoi sassofoni, come forse mai altrove gli riesce di fare così compiutamente. Officium Novum, terzo capitolo discografico del fortunato sodalizio fra Garbarek e l’Hilliard Ensemble che Contaminazioni Contemporanee presenta in prima italiana, è ulteriore dimostrazione della validità di un’operazione che in origine non era esente da rischi. Ma quando gli ingredienti sono quelli giusti, le alchimie possono portare a risultati sorprendenti.

Jan Garbarek (sax tenore e soprano), David James (controtenore), Rogers Covey-Crump (tenore), Steven Harrold (tenore), Gordon Jones (baritono)
da www.amb-norvegia.it

giovedì 9 settembre 2010

Quarant'anni fa moriva Jimi Hendrix, colui che faceva sembrare l'altra musica modesta e limitata

di Franco Bolelli
Proprio perché sono incompatibile con gli anniversari e le rievocazioni e le nostalgie per ciò che non c'è più, mi sento di poter fare una non rievocativa, non nostalgica eccezione. Una mattina di quarant’anni fa – niente web, niente abbondanza di canali tv, niente fonti alternative di informazione - quattro-righe-quattro in un angolino sul giornale mi comunicavano che se ne era andato l’uomo, il ragazzo, a ventisette anni, che aveva per sempre cambiato la mia esistenza.

Sì, c’erano stati i Beatles, a farmi per primi intuire che il mondo era molto più ampio ed eccitante di quello che avevo conosciuto fin lì. Ma a folgorarmi davvero come se improvvisamente un diamante mi si fosse acceso in fronte fu la tempesta di dissonanze, feedback, sonorità stralunate come se venissero dallo spazio o dall’interno del nostro stesso organismo, con cui Jimi Hendrix spazzava via ogni confine conosciuto, accendeva i nostri sensi e la mente, faceva sembrare ogni altra musica modesta e limitata, e mutava le nostre stesse forme di percezione.

Perché sì, l’importanza storica del – nessun dubbio - più grande musicista dell’ultimo secolo si è proiettata molto al di là e al di sopra del semplice territorio musicale. Hendrix ha – inconsapevolmente - rivelato la concreta, entusiasmante possibilità di nuovi paradigmi, mappe, modelli di pensiero e di comunicazione e dello stesso mercato. Perché – il paradosso è davvero meraviglioso - l’esperienza musicale più avanzata, più radicale, più estrema, non rimaneva patrimonio di una piccola nicchia di avanguardia ma – senza alcuna strategia di marketing, per pura onda energetica - conquistava decine di milioni di umani su tutto il pianeta.

Ecco, in quel momento è caduto il muro di Berlino dei linguaggi ed è cominciato il declino del mondo binario, da quel momento abbiamo scoperto che sperimentazione e condivisione, innovazione e calore umano, intelligenza ed eccitante energia, possono meravigliosamente stare mano nella mano, anzi possono celebrare indissolubile matrimonio. Con la sua fiammeggiante Stratocaster, con Bold As Love, Little Wing, Are You Experienced?, Hendrix rubava agli dei il fuoco di un linguaggio dove raffinatezza inventiva e potenza adrenalinica, dolcezza struggente e furore travolgente, diventavano tutt’uno scatenando veri uragani chimici sulla nostra pelle e giù più dentro.

Non starò a parlare della impressionante attualità di Jimi Hendrix quarant’anni dopo: chi come me ce la trova, buon per lui; altrimenti Hendrix sta benissimo nella mitologia. Voglio però dire che questa non è affatto una storia degli anni sessanta, che anzi appartiene non a un’epoca o a uno stile ma a un modello di relazione con il mondo e con la vita assolutamente al di là del tempo e dello spazio. Jimi Hendrix è la voglia – naturale, non trasgressiva - di farsi da sé le proprie unità di misura, è l’avventuroso senso dell’impresa che ti spinge a vedere che effetto fa “kiss the sky”. Proviamoci, con un altro finale.
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