mercoledì 27 febbraio 2008

Le metamorfosi di John De Leo


Che John De Leo fosse un artista poliedrico è storia
vecchia. Che i suoi (ex) Quintorigo siano stati tra le
realtà italiane più sperimentali, innovative, originali
degli ultimi dieci anni di musica è ormai riconosciuto
all’unanimità, anche in virtù dei premi della critica ricevuti
al Festival di Sanremo e del premio Luigi Tenco
per l’esordio “Rospo”. Incastonato in una preziosa confezione
cartonata, “Vago Svanendo” raccoglie quanto
seminato dalla band: folli ed imprevedibili, le undici
tracce sciorinano un mix di esperimenti vocali e sonori,
canzoni d’autore, improvvisazioni, testi visionari
e curati, strumenti giocattolo, citazioni e rifacimenti,
il tutto al servizio della versatile ed inconfondibile
voce di John e del suo incedere nervoso e teatrale.
I 44 secondi di “4 Piano Notes”, un intro di sole quattro
note di pianoforte e manipolazione sonora, aprono
il disco, mentre “Freak Ship” è un esperimento al
quale l’artista romagnolo ci ha abituati da tempo, in
cui tutto è realizzato con la sola voce, simulando rumori,
batteria, basso e melodie minimali. Il disco decolla
con la terza traccia, la “Vago Svanendo” che dà
il nome al disco, introdotta dal pianoforte di Guido
Facchini; ma qui è la voce di De Leo che, con le sue
solite evoluzioni e metamorfosi, avvolge l’ascoltatore,
cantando di sacchi di gatti, sogni di Chagall, balene,
amore e panni stesi. Un “vago svanendo di cartapesta”
che da solo vale l’album. E tra versi alla Paolo Conte,
divertimenti rock n’ roll, duetti di voce e trombone,
diplofonie alla Demetrio Stratos, tecniche tibetane,
ecco “Big Stuff” del compositore Leonard Bernstein,
un ultimo sprazzo di calma prima del singolo “Bambino
Marrone”, registrato con strumenti giocattolo
(chitarra, sax, cembalo, batteria, organo, clarinetto e
chissà cos’altro) opportunamente modificati e manipolati
in studio, in cui l’artista affronta la tematica sociale
dell’emarginazione dei bambini di diverso colore.
Un disco vivo, contorto, da ascoltare senza preconcetti,
che brilla per creatività e sincerità, in cui è facile
cadere nella trappola del “voler capirlo a tutti i costi”
senza capire un bel niente. John De Leo mantiene le
promesse, la speranza è che “Vago Svanendo” non
sia l’ennesima occasione persa della musica italiana.
Dario Parascandolo

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